martedì 20 marzo 2012

Uno sconosciuto rasoio

A cavallo tra il 1200 e il 1300 (1288-1349) visse tra Inghilterra, Italia e Germania un frate francescano, filosofo, tale Guglielmo di Ockham, che oltre ad aver studiato e poi insegnato ad Oxford, riuscì a prendersi una scomunica per eresia da parte dell'inquisizione nel 1324, poi assolto da papa Clemente VI nel 1349. Scomunica a parte, uno dei meriti di questo filosofo francescano è stato quello di aver enunciato dei concetti poi ampiamente applicati nella ricerca scientifica: dei principi metodologici conosciuti sotto il nome comune di "Rasoio di Ockham".

Il principio è semplicissimo: quando ci sono più soluzioni plausibili per spiegare un fenomeno generalmente quella giusta è quella più semplice.
In sintesi:
- « A parità di fattori la spiegazione più semplice è da preferire »
- « Non moltiplicare gli elementi più del necessario. »
- « Non considerare la pluralità se non è necessario. »
- « È inutile fare con più ciò che si può fare con meno. »

Ora, visto che probabilmente pochi di noi hanno un qualche ruolo "scientifico" nella vita di tutti i giorni, quale valenza possono avere questi enunciati per la gente "comune"? Poca, anche perché la gente comune in realtà, senza volerlo, questi principi li applica quasi tutti i giorni... quasi tutta la gente. Però, però, se ci spostiamo un po' dalla vita "di casa" al posto di lavoro, ad esempio, forse si comincerebbero ad apprezzare alcuni di questi principi. Pensiamo ai processi produttivi/decisionali delle aziende nelle quali lavoriamo, alle metodiche della burocrazia sia nel pubblico che nel privato, all'inutile montagna di parole che spesso si sprecano in riunioni e conferenze per condire di "nulla" pochi concetti che spesso alla fine non vengono colti per il troppo contorno che li sommerge. Alle logorroiche telefonate e/o discussioni di qualche conoscente che per raccontare un fatto parte con spiegazioni che originano dall'alba dei tempi e strada facendo divagano in molteplici diramazioni aggiuntive... e quando alla fine arriva la fatidica domanda "tu cosa ne pensi?" cosa si può rispondere? di solito per una naturale legge di contrapposizione si liquida un discorso del genere con "sono d'accordo", seguendo quella vocina dentro di noi che urla sottovoce un "digli di sì! digli di sì! altrimenti ricomincia!".

So che così risulterò poco popolare tra gli amanti della "conversazione", ma l'idea non è quella di eliminare la conversazione, è quella di renderla meno noiosa e più proficua, utile, per gli interlocutori. Anche perché così la discussione diventa veramente più interlocutoria e non un monologo con uno spettatore quasi prevalentemente passivo.

- Sai, ho smesso di fumare.
- Bene! Come mai questa decisione?
- Ho letto alcuni studi medici che mi hanno convinto sugli evidenti danni del fumo.
- Ottimo, hai fatto bene, vedrai adesso ti sentirai meglio.

Qui il "fatto" da raccontare è già narrato all'inizio, poi l'interlocutore domanda qualche spiegazione. Ben diverso da:

- Sai, negli ultimi tempi ho letto alcuni studi medici, che me li ha consigliati una mia collega, una che segue molto queste cose, pensa che una volta prima di partire per una vacanza in Africa si è letta tutto quello che ha trovato su malattie e pericoli che avrebbe potuto incontrare in viaggio. Che poi uno cerca di pensare a tutto ma sicuramente ti capita qualcosa che non avevi previsto e allora poi ti domandi se valeva veramente la pena di preoccuparsi tanto prima. Comunque ti dicevo degli studi medici, roba sui tumori ai polmoni, problemi di respirazione e cose del genere... anche perché mi ero messo un po' di paura quando un mesetto fa ho dovuto salire le scale perché l'ascensore era rotto e per fare due piani mi sentivo come se stessi morendo. Guarda, una fatica a respirare... (omissis... e dopo un tempo indefinito) ... e così ho deciso di smettere di fumare.

...di solito a questo punto non mi sono accorto della frase finale perché sto ancora pensando se la collega ha poi passato una buona vacanza in Africa.

E diamo allora un bel taglio a tutto ciò che non è necessario per la spiegazione, almeno la prima spiegazione: se serve, se viene richiesto, poi si può approfondire qualcosa.

Non vorrei che questo fosse visto come un tentativo di limitare la libertà di parola degli altri, tanto lo sappiamo bene che gli amici logorroici o i colleghi che parlano tanto senza dire niente non li possiamo cambiare più di tanto. Io, per motivi legati al mio lavoro di progettista software, seguo abbastanza i principi del Rasoio di Ockham: nel mio lavoro evitare la ridondanza è un principio direi fondamentale. Cerco però di applicare gli stessi concetti anche al di fuori del lavoro, cercando di fare un uso discreto della cosiddetta "libertà di parola".

La libertà di parola non è amica dell'arroganza, della presunzione di poter dire sempre tutto e comunque, senza considerare gli altri. Piuttosto è amica dell'intelligenza, del buon senso nel trovare i modi e le parole più appropriate per esprimersi e a volte del non esprimersi affatto.

C'è chi poi le cose te le vuole raccontare ad ogni costo, anche quando magari a suo tempo gli avevi chiesto di non metterti al corrente di certi avvenimenti... L'altrui libertà di parola.

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